lunedì 19 settembre 2011

Ma dove stà Zazà: al di qua o al di là dei nuovi confini sul Po?

Scrivere oggi del comizio tenuto ieri da Bossi, il leader indiscusso della Lega Nord, è atto certamente banale che rischia di confondersi tra le mille cose già dette nelle ore successive al raduno leghista.

Tacere in merito, però, rischia di avvalorare la strada intrapresa da pochi, nel nome di tutti. La secessione di una nazione, infatti, non credo possa essere decisa da qualche centinaia di persone, pur indossando questi sulla testa l’elmo celtico.

La mia premessa, naturalmente, è molto distante dalla necessità di spaccare il Paese, unito con tanta fatica 150 anni fa, ma vuole evidenziare il paradosso del paradosso: pochi sembrano voler decidere il destino di tutti, una minoranza desidera dettar legge ai più. Un paradosso minimo rispetto ad altri che sembrano scaturiti da un romanzo di fantapolitica, più che alla realtà di uno stato moderno.

Tra questi il fatto che a proclamare, gridandolo, la secessione dell’Italia sia un Ministro della Repubblica stessa, e che al rilascio di questa grave dichiarazione non seguano atti normali, tipo la richiesta di sue dimissioni da parte dello stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, che evidentemente annovera tra i suoi collaboratori un potenziale nemico dello Stato. Dimissioni, infatti, che richiederebbe immediatamente un Presidente leale verso il Paese: un atto che invece mai compirebbe chi ha, come missione istituzionale, il mantenere la poltrona al sol fine di evitare le conseguenze derivanti da innumerevoli processi aperti a proprio carico.

Inoltre nell’attimo in cui la politica criminalizza il movimento No Tav, tramite il Ministro leghista Maroni che con esplicite parole indica sovente in esso le radici di un complotto eversivo, un importante componente del Governo, nonché leader dello stesso partito di Maroni, attenta all’unità d’Italia: fattispecie di reato che, se ricordo bene, prevede l’applicazione di pene severe tra cui l’ergastolo.

Naturalmente, ancora una volta, l’attenzione dell’apparato giudiziario si concentra su quanto avviene a Chiomonte, ignorando i fatti ben più gravi avvenuti a Venezia ieri. Tra l’altro la “Libera Repubblica della Maddalena” potrebbe scaturire addirittura le simpatie da parte dei dirigenti della Lega Nord, se considerata come prima progenie della divisione italica, ma evidentemente il vocabolo “libera”, in essa contenuto, è di ostacolo al far sorgere nei leghisti feeling nei suoi confronti.

Quale repubblica emergerebbe dall’attuazione in fatti delle enunciazioni di Bossi, se non uno stato a sua volta frammentato ed in cui gran parte dei suoi cittadini (o sudditi vista la repentina nomina a successore di Bossi fatta calare sul “Trota” dallo stesso senatur) non si riconoscerebbero assolutamente. Chissà quanti “padani”, per regia volontà altrui, lavorerebbe alla secessione della secessione il giorno in cui scoprissero di vivere sotto il regno di Bossi: il ritorno ai ducati sarebbe così dietro all’angolo.

Per chi immagina un mondo senza confini fatto di uguaglianza, e costituito da cittadini liberi, il momento è davvero complesso. L’unica speranza risiede nei comuni, nella loro lungimiranza nel non mettere, già da subito, confini e controlli tra un loro quartiere e l’altro: cosa utile al fine di istituire un futuro “palio” della città, ma certamente deleterio per i rapporti umani e sociali nell’immediato.

Fonte: Carta Straccia

1 commento:

  1. Se anche dovessero proporre il referendum, credo che molti padani si rifiuteranno perché si ricordano di quanti dei loro sono morti per l'unificazione del paese.
    Sono tutte balle che racconta delle baionette, dell'esercito e della secessione, sono cose servite solo ad agitare il popolo beota che ha creduto in lui.

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