mercoledì 12 ottobre 2011

Torino, manifesto anti-aborto sui muri dei consultori

L'episodio è solo l'ultimo capitolo dello scontro sulla Legge 194 che si sta consumando in Piemonte. Secondo le associazioni “pro-choice”, il governatore Cota sta portando avanti un “attacco politico e culturale ai diritti delle donne” per fini elettorali e propagandistici

Un feto all’ottava settimana ingigantito sotto l’invocazione “Mamma ti voglio bene!” e lo slogan “Scegli la vita”. In basso a sinistra un cartello recita “Manifesto affisso per ordine della direzione aziendale”. La campagna antiabortista è apparsa in alcuni presidi pubblici dell’Asl 2 di Torino Nord e ora è al centro delle polemiche. Perché quel manifesto sarebbe solo l’ultimo di una serie di “assalti” alla Legge 194 da parte dei movimenti pro-vita nei consultori pubblici, negli ospedali e nelle stanze dei bottoni della politica di tutta Italia.

A Torino il tema dell’interruzione volontaria della gravidanza è ormai un vero nervo scoperto della politica. Da tempo si sta consumando uno scontro a tutto campo sui nuovi “protocolli regionali” che assegnano alle associazioni antiabortiste un lasciapassare per la loro opera di propaganda nei punti più sensibili come corsie ospedaliere, ambulatori medici e consultori familiari. Questi cartelloni rialzano l’asticella dello scontro politico e la riportano direttamente dentro il palazzo della Regione Piemonte. Con tanto di interrogazioni in aula consiliare, raccolta firme e manifestazioni contro quello che i partiti dell’opposizione indicano come un “preciso attacco politico e culturale ai diritti delle donne”. Un’offensiva sferrata dai Movimenti Pro Vita attraverso la sponda sistematica del presidente leghista Roberto Cota che avrebbe trasformato le competenze del governo regionale in materia sanitaria in un terreno di battaglia ideologica a fini elettorali e propagandistici.

Lo scontro sulla 194 è finito anche in tribunale. Il 14 luglio scorso il Tar piemontese si era espresso contro il Protocollo Cota-Ferrero per l’ingresso dei volontari antiabortisti nei consultori pubblici che introduceva uno specifico requisito alle associazioni: la presenza nel proprio statuto del “fine della difesa della vita fin dal concepimento”. “Una violazione addirittura del nostro principio di costituzionalità, poiché inseriva una palese discriminante nei confronti delle altre associazioni”, attacca il consigliere regionale Andrea Stara del Gruppo Insieme per Bresso.

La pronuncia del tribunale amministrativo aveva stabilito una vittoria piena del fronte a difesa della 194 costituitosi ormai un anno fa per la tutela della salute, dell’autodeterminazione della donna, del principio di laicità del servizio sanitario pubblico. Il consiglio, nella prima seduta disponibile (il 19 luglio), ha dato alla giunta il mandato di recepire il pronunciamento dei giudici e adeguare il protocollo. A quel punto Cota e i suoi assessori hanno sì aperto le porte dei consultori alle associazioni laiche, ma le hanno lasciate spalancate ai movimenti pro-life.

I manifesti della discordia comparsi sui muri dell’Asl 2 ne sarebbero la riprova. “Le strutture sanitarie pubbliche sono luoghi di cura della salute e di prevenzione, per tutti, e non possono essere trasformate in bacheche di becera propaganda politica”, torna a ribadire il fronte laico che ha raccolto 7mila firme in calce a una petizione per chiedere il ritiro del nuovo protocollo e il rispetto della sentenza del Tar. Pronta anche una mozione che sarà la prima in discussione nel prossimo consiglio regionale.

E intanto anche fuori dalla Regione la protesta si fa sentire. Nelle prossime settimane si annunciano manifestazioni da parte delle associazioni per i diritti delle donne che stanno organizzando un sit-in davanti alla sede della Regione. “C’è stato un patto elettorale tra il governatore e i movimenti Pro Vita dichiarato dallo stesso Cota in campagna elettorale. Ora sta ricambiando quell’appoggio e quel che è peggio stanno lavorando ad una specifica proposta di legge che sancisce la preminenza di queste associazioni su quelle laiche. Ma non è diverso da quello che accade nel Lazio o in Lombardia dove stanno privatizzando i consultori in modo da avere più margini d’azione”, insiste Eleonora Artesio, capogruppo regionale della Federazione della Sinistra che con una interrogazione chiede l’immediata rimozione del manifesto-choc e che la giunta riferisca in aula in merito all’orientamento in materia e all’adeguamento al dettato dei giudici amministrativi.

Minimizza l’assessore alla Sanità Paolo Monferrino citando una nota del commissario dell’Asl Torino 2 Giacomo Managuerra: “L’affissione non ha avuto alcun intento ideologico e politico, bensì si è riconosciuto un diritto di espressione per un’attività non contraria alla legge (…) e non si è inteso disprezzare le donne o i principi della Legge 194 perché lo scopo dell’associazione è contribuire a superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”. Nel manifesto delle polemiche però non si parla di diritti, sussidi, contributi e servizi per le madri in difficoltà ma si mostra la gigantografia di un feto supplicante all’ottava settimana, proprio a ridosso della soglia critica dei 90 giorni entro i quali l’aborto è consentito per legge.

Fonte: Il fatto quotidiano

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