venerdì 14 ottobre 2011

Assalto contro Silvio Berlusconi e la BCE

Era in errore chi immaginava che il crepuscolo di Berlusconi avrebbe avuto le caratteristiche di un opaco tramonto, di un declino che avrebbe gradualmente persuaso all’abbandono l’«uomo che volle farsi re». E aveva ragione, per converso, chi con maggiore perspicacia aveva compreso che è nella natura di ogni dittatore, di ogni egoarca, spingere il proprio delirio sino in fondo, sino a negare la realtà e a sovrapporsi ad essa. Il conto che il Paese è chiamato a pagare per ogni minuto in più della sua sopravvivenza politica non ha per Berlusconi alcuna importanza e significato. L’uomo utilizzerà ogni mezzo e fino all’ultimo istante per rimanere in sella. Brandendo ora più la minaccia che la corruzione, poiché le sue promesse paiono ormai difficili da mantenere anche agli occhi di quanti sono stati, sono e sarebbero più disposti a farsene sedurre. «Se cado si dissolve il centrodestra», egli manda a dire in queste ore a coloro che si spingono a immaginare un partito “desultanizzato”. «Senza di me nessuno di voi ha un futuro», ringhia all’indirizzo dei cortigiani e dell’esercito di commensali di cui ha riempito le sue corti e che ha in questi anni allevato, remunerato, protetto in cambio della più cieca fedeltà. Ed è questa - a ben vedere - la sentenza più inesorabile, senza appello che sia possibile pronunciare sulla consorteria che il caudillo di Arcore ha elevato a classe politica dirigente, più o meno come fece Caligola con il suo cavallo.
«Senza di me nessuno di voi ha un futuro». Come si vede, Berlusconi non si cela. Esibisce in pubblico il disprezzo per i suoi, di cui conosce bene origine, miseria politica e morale. Ed è in ragione di questa verità, gridata senza pudore ai quattro venti, che prova a tenerseli avvinghiati, costi quel che costi.
C’è più disperazione che tracotanza in questa rabbiosa invettiva che ricorda, in farsa, lo shakespeariano Riccardo III, mentre confessa a se stesso: «Io, immondo ammasso di nequizie, piegherò il mondo ai miei piedi». L’uomo, dunque, combatterà, con i mezzi illeciti e spregevoli che gli sono propri, indifferente alla constatazione che nel frattempo l’Italia senza guida va in pezzi. Insomma, non è ancora arrivato il tempo in cui invocherà la sua salvezza personale e griderà: «Un regno per un cavallo».

Abbiamo più volte detto che amputare questa cancrena è una premessa indispensabile, un passaggio obbligato, un obiettivo sul quale fare convergere il più ampio schieramento di forze, politiche e sociali. Abbiamo anche detto, però (e continuiamo a pensare) che questa lotta di liberazione non si può fare per consegnare il governo dell’Italia alla Banca centrale europea, agli uomini di Confindustria, ai propugnatori del liberismo che perseguono senza batter ciglio la devastazione del welfare, l’abolizione dei diritti del lavoro, la privatizzazione di tutto ciò che è pubblico e bene comune. Per dire, la ricetta già applicata alla Grecia. Ecco allora che deve entrare in campo, ben visibile, un’altra proposta, quella che con inedita, radicale maturità, una generazione intera sta portando nelle strade e nelle piazze di mezzo mondo. Alla sinistra, se sarà capace di ritrovare le ragioni forti della sua unità, si dà l’opportunità di offrire una sponda robusta a questa potente spinta al cambiamento, fuori dal recinto omologante che ha fatto del centrodestra e del centrosinistra varianti di un pensiero soggiogato dal mantra monetarista: quel perimetro invalicabile nel quale si producono, come in una ossessiva coazione a ripetere, tutte le scelte politiche che travolgono le nostre vite.
Oggi, un pensiero critico rimasto per lungo tempo in sonno si fa strada. Ed è di grande significato che esso si incarni, con una così vasta latitudine, in una massa di giovani che irrompono nello spazio pubblico e senza complessi né sudditanze dicono che si può, si deve fare altro. Attenzione: non si tratta solo di rivolta, destinata a rifluire nel breve. Anche perché la nottata non passa affatto. E perché lor signori questa volta fanno fatica a rabberciare, con le loro ricette reazionarie, la coperta che quelle medesime ricette hanno lacerato. Oggi la crisi può davvero presentarsi come occasione. Tocca anche a noi, stando dentro al movimento, senza supponenza predicatoria, dare corpo, respiro teorico e sbocco politico a questa che è più di una speranza.

Dino Greco

Fonte: Contro la crisi

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