Con un paese in rivolta, Papandreou è stato costretto ad indire un referendum. La notizia è definita "choc" (chissà perché... siamo o non siamo in democrazia?) e le agenzie stanno battendo a caratteri cubitali questi titoli: "L'Europa sprofonda sotto la paura della Grecia"; "banche a picco"; "caduta libera delle Borse". Il tutto a peggiorare i cupi scenari già esistenti.
Il primo ministro greco George Papandreou ha annunciato due cose: l'indizione di un referendum sull'ultimo pacchetto di «salvataggio» (gli eurotlantici hanno anche la sfrontatezza di chiamarlo così...) e un voto di fiducia al Parlamento sull'accordo sul debito. La valenza politica del 'combinato' di voto è in tutta evidenza accortamente abbinata. Molto più significativo è ovviamente il referendum, visto che il parlamento (non rappresentativo delle rivendicazioni espresse nei diversi settori della società greca) ha svenduto pezzi di sovranità e subìto i diktat dell'asse Francoforte-Bruxelles-Washington.
Alle urne si andrà all'inizio del 2012.
La decisione, superfluo dirlo, sta sparigliando i piani euroatlantici, il cui obiettivo importantissimo di tappa è l'integrazione e la centralizzazione assoluta della governance europea dei bilanci e delle finanze, e quindi economica. A fronte di 'resistenze' l'operazione non casuale, indotta, di collassamento di alcuni paesi come l'Irlanda e soprattutto la Grecia aveva l'obiettivo di far rompere gli indugi e indurre le popolazioni -e relative classi dirigenti- ad accettare il trasferimento immediato dei poteri nel mentre, comunque, si mettevano le mani sui settori strategici dei singoli paesi. Prima ancora che per soddisfare gli appetiti della speculazione e dell'affarismo a tutto campo al seguito, per togliere punti di forza al mantenimento dei presupposti materiali di effettive riconquiste delle sovranità nazionali. Renderle, in caso di rivendicazioni, molto più difficili, non potendo renderle impossibili.
Questa operazione rischia di essere vanificata e addirittura ritorcersi come un boomerang, rispetto anche a dinamiche finanziarie avviate su scala continentale, in caso di conferma dell'indizione del referendum. L'esito è scontato e i sondaggi al riguardo, che prevedono una valanga massiccia di «no» da parte dei greci, mai sono stati tanto superflui e inutili. Più sensatamente potrebbero dilettarsi a prevedere la portata del rifiuto: il 100% o giù di lì?
Per rendersi conto della portata di questo referendum, bastino alcune dichiarazioni. Il premio Nobel all'economia, Christopher Pissarides, ha dichiarato che «è difficile prevedere cosa succederà alla Grecia se il pacchetto di aiuti venisse respinto. Ci saranno conseguenze negative per l'Eurozona e pesantissime per Atene. Il Paese molto probabilmente dichiarerà immediatamente il default ed uscirà dall'euro». Il ministro finlandese agli Affari europei, Alexander Stubb, in un'intervista televisiva a Mtv3, ha detto che il referendum ellenico sarà un voto sull'appartenenza del Paese all'eurozona («La situazione è così difficile che fondamentalmente sarà un voto sulla loro adesione all'euro»). Sarkozy è costernato («Il gesto della Grecia è irrazionale e, dal loro punto di vista, pericoloso»). In Germania sono irritatissimi. A Washington c'è molta preoccupazione.
In queste ore, curiosamente -si fa per dire-, la Banca Centrale Europea sta intervenendo nuovamente sul mercato secondario per comprare debito italiano. A dirlo è il sito Bloomberg, che cita fonti vicino all'operazione. Non solo. Il rendimento del Btp a cinque e dieci anni sul mercato secondario sta raggiungendo i suoi nuovi massimi storici dall'introduzione dell'euro nel 1999, con effetti di spread verso l'alto con gli equivalenti bund tedeschi, il che vuol dire che uno scenario di tipo greco si sta sempre più materializzando anche in Italia. Insomma, se la Grecia si sottrae al ruolo di cavia euroatlantica da laboratorio a mo' di avvertimento per altri, intendono sostituirla pienamente, come ancora non è, con l'Italia?
Intanto, diciamolo a chiare lettere: Grecia, facci sognare! E, soprattutto, grazie. La grande lezione, vecchia quanto il cucco, è che la lotta paga. Prima o poi. Per i greci non basterà comunque il referendum. Hanno l'opportunità per sbaraccare ceti comunque asserviti, riprendersi l'indipendenza e la sovranità, e pensare a costruire una nuova società su rapporti di rpoduzione e assetti ben diversi dagli attuali dominanti. Roma come Atene? Sì, se si lotta!
Fonte: Indipendenza
Nessun commento:
Posta un commento