“Durante il colonialismo italiano ci fu un’era di grandi costruzioni e sviluppo, mentre gli ultimi 40 anni con Gheddafi sono stati l’esatto opposto […….] Penso che durante il colonialismo italiano ci fosse una legge giusta, c’era sviluppo agricolo. Invece con Gheddafi tutti i valori e i principi sono stati demoliti e rovesciati, le risorse libiche non sono mai state usate per i libici”. Dichiarazione di Jibril, presidente del CNT- Nato, rese a la Russa e al Ministro della Difesa britannico Liam Fox.
La dichiarazione di Jibril mi sembra un contentino per gli allocchi, cioè gli italiani, che in ogni caso, qualunque sia l’esito del conflitto, ne usciranno con le ossa rotte.
Una dichiarazione da vendere in Italia da parte del nostro apparato politico servo, di maggioranza e di opposizione.
Chiunque può accorgersi che Francia e Inghilterra si avviano a sostituire l’Italia (sempre che il CNT-Nato riesca a “pacificare” la Libia che viceversa si avvia ad una lunga fase di guerriglia interna)come parteners privilegiati.
L’ENI viene ridimensionata ed è di qualche giorno fa la dichiarazione dell’associazione delle Piccole e Medie Imprese Italiane che abbandonano il campo.
Inghilterra e Francia riprendono il ruolo del periodo del protettorato inglese di re Idris che fu anche il periodo “lacrime e sangue” per gli oltre 100.000 italiani che vivevano in Libia, per la maggior parte costretti al ritorno in patria .
In realtà è proprio dalla rivoluzione del 1969 e dall’instaurazione della Jamahirihiya popolare socialista che i rapporti tra Italia e Libia (non senza periodi di forti contrasti e contraddizioni innescati in genere dagli USA) riprendono con vigore fino alla partnership privilegiata da parte dell’Italia e coronata dal trattato di amicizia di due anni fa.
L’ascaro Jibril si riferisce, immagino, al periodo del governatorato di Volpi di Misurata, prima, e di Italo Balbo, in seguito. L’Italia passava, dopo l’esproprio delle terre e la pulizia etnica di oltre 200.000 libici (su una popolazione a quei tempi di non più di 800.000 abitanti)ottenuta con i gas iprite, fosgene e le deportazioni di massa, alla politica della “colonizzazione demografica”.
Furono ristrutturate Tripoli , Bengasi e altre importanti città fornendole di un sistema stradale razionale e di importanti opere pubbliche. La cultura architettonica e urbanistica italiana (anni ’30) tentò un’interessante sintesi, nella sua logica neocoloniale, tra “razionalismo” architettonico volto a perpetuare la “classicità romana” e l’existens abitativo, dalle forme pure, della casa araba.
Balbo, nella sua logica di fascismo sociale keynesiano, invertì la tendenza alla privatizzazione dei terreni espropriati in territorio libico a favore del Banco di Roma e altri pescecani dell’epoca di Volpi.
Furono costituiti gli enti di colonizzazione della Cirenaica, della Tripolitania e l’INFPS, al servizio della concessione in uso ai contadini fatti emigrare dall’Italia nelle decine di nuovi villaggi che intanto venivano costruiti.
Tale programma, secondo i piani del fascismo avrebbe consentito entro il 1950, l’insediamento di oltre 500.000 contadini italiani, realizzando uno dei programmi più pomposamente propagandato dal regime.
Sul prezzo pagato per questo “sviluppo” da parte del popolo libico ho già riferito per inciso.
Ma come ho già detto, in maniera solo apparentemente paradossale, non sarà il regno ascaro (degli inglesi) di re Idris a “valorizzare” quanto “costruito” dal colonialismo italiano.
Questo avverrà solo per iniziativa della nuova libia di Gheddafi.
Il nuovo stato che aveva fatto dell’indipendenza nazionale e dell’antimperialismo la sua bandiera poteva ritornare a guardare verso l’Italia. Solo chi nazionalizzò le fonti primarie di energia (petrolio) e scoperto e canalizzato la ben più preziosa acqua fossile del deserto poteva essere libero di tornare a guardare all’Italia.
Solo chi ha dato dignità di nazione indipendente e dotata del più alto welfare africano poteva ricostruire un'importante rete di relazioni commerciali e culturali con il dirimpettaio mediterraneo ex colonizzartore.
La Libia del re fantoccio Idris, alla quale si richiamano i faccendieri locali di Sarkobama, non è ebbe il permesso dai suoi padroni anglosassoni.
Jibril, infimo politico prezzolato, mente sapendo di mentire. Non ci sarà alcun futuro per l’Italia in Libia.
Gli USA, i suoi ascari del CNT, la sua cordata di paesi servi, i suoi islamisti qaedisti o moderati stanno distruggendo il paese più civile d’Africa e non è previsto dal moderno imperialismo alcun piano di ricostruzione o ripresa economica come dimostrato dall’Iraq, Afganistan, ex Jugoslavia ecc.
Spero che costoro, mettendo piede in Libia, abbiano cominciato a friggere all’inferno sotto i colpi dell’artiglieria della resistenza dei “lealisti”. E questo sembra che avverrà per un tempo ragionevolmente lungo.
Il popolo libico ha dimostrato negli ultimi cento anni di non essere disponibile a farsi domare.
Gaspare Sciortino
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