tdi Dino Greco
su Liberazione del 09/10/2011
Dino Greco
Tutta la sinistra radicale sostiene che la crisi si presenta con un carattere ambivalente: occasione/pericolo. Ma un'occasione per chi? - si chiede Fausto Bertinotti nell'editoriale dell'ultimo numero di "Alternative". E' stata fatta tabula rasa del compromesso sociale e democratico che ha retto l'Europa nel secondo dopoguerra. Le classi dominanti scalano un altro gradone del loro dominio. Il tratto più macroscopico è l'occultamento delle cause. Nel momento in cui il capitalismo si fa legge naturale e si propone come scienza, "ideologico" diventa tutto ciò che gli si oppone. Il gioco di prestigio consiste nella totale sussunzione della politica nell'economia capitalistica. Ma dove viene questa crisi? E' la superfetazione finanziaria del capitalismo, quindi una patologia? Oppure è l'effetto della fisiologia intrinseca al modo di produzione capitalistico e ha le sue radici nell'economia reale? Dov'è l'uovo del serpente, nella finanza o nei rapporti sociali?
Fausto Bertinotti
Terrei ferme due avvertenze nel giudizio sulla fase attuale del capitalismo. Non possiamo limitarci alla ripetizione di cose note. Il problema della scientificità dell'analisi critica è un punto chiave. La tua domanda è rilevante perché ci porta al giudizio sul capitalismo finanziario globalizzato. Qual è la specificità di questa particolare forma di capitalismo? Primo, stiamo parlando di una organizzazione capitalistica che riguarda l'Occidente e non tutto il mondo. Esistono altre forme di capitalismo, che sono governate diversamente, per esempio, nell'area asiatica e nei paesi del Bric - meglio o peggio, non so. Secondo, all'interno dell'Occidente, c'è una specificità dell'Europa, nella quale questa nuova forma di capitalismo si confronta con quella della fase precedente, che non era solo una semplice organizzazione tecnica del capitale, bensì una vera operazione politica. Il capitalismo fordista-taylorista-keynesiano, egemone nel mondo, in Europa realizza un compromesso. Qui sono in polemica con Riccardo Bellofiore perché ritengo che quel compromesso sociale non fosse un obiettivo perseguito dal capitalismo e che si sia realizzato invece per effetto della lotta di classe. Prima viene il conflitto, lo scontro destra-sinistra, poi il compromesso di quella particolare forma di capitalismo. Il capitalismo finanziario globalizzato, invece, prende questa forma cui stiamo assistendo perché ha un obiettivo particolarmente duro e ambizioso: la demolizione della civiltà del lavoro del ciclo precedente. Questo capitalismo finanziario globalizzato ha la vocazione di sussumere dentro di sé tutto e tutti, di ridurre tutto a merce - come ogni capitalismo - ma in una condizione di assenza del proprio avversario storico. L'idea che porta avanti è che per essere competitivi bisogna ridurre tutto a variabile dipendente. Da qui nasce l'incompatibilità di questo capitalismo con la politica - intesa come sfera autonoma in cui si formano le decisioni. E' una vocazione totalizzante che produce un'Europa oligarchica in cui i conflitti sociali, in primo luogo quelli del lavoro, vengono non combattuti, ma considerati fuori dal quadro ammissibile di questa società organizzata. Ecco perché ritengo che si debba evitare di ripetere il mantra sulla crisi del capitalismo e che occorra concentrarsi sulla specificità della vicenda di questa particolare forma del capitalismo finanziario globalizzato.
Paolo Ferrero
Sono d'accordo con l'analisi generale di Fausto. Ma questo capitalismo finanziario in crisi da dove arriva? Io credo che nasca come risposta al ciclo di lotte e alla forza del movimento dei lavoratori negli anni Sessanta e Settanta. Il ciclo fordista-keynesiano aveva permesso nei paesi occidentali di porre il problema della giustizia sociale e dei diritti in una modalità molto avanzata. Quel movimento di emancipazione si è affermato in continuità con il compromesso costituzionale che era stato raggiunto alla fine della guerra contro il nazifascismo. E' avvenuto in una forma conflittuale. Il capitalismo si modifica brutalmente per riprendere il comando dopo una fase, come quella degli anni Settanta, in cui si sono stati messi in discussione i vincoli di mercato in nome di un modello più avanzato di umanità, fondato sull'autogestione e su una più ampia libertà. Il neoliberismo è la modalità con cui il capitale riprende il comando, facendosi forte di un'idea totalizzante di società. L'ideologia neoliberista è un pensiero unico che si ammanta di pretese scientifiche e propone l'economia come un fatto naturale. E' la rappresentazione dell'uomo egoista che perseguendo i propri interessi individuali realizza il benessere sociale. La globalizzazione ha permesso al capitale di mettere al lavoro centinaia di milioni di persone, di aumentare l'esercito industriale di riserva, di tagliare i salari e ridurre il welfare. Questo nuovo capitalismo finanziario nasce come risposta capitalistica al più grande ciclo di lotte che si sia mai visto in epoca moderna, con l'obiettivo di svincolare il capitale dalla forza del movimento dei lavoratori. La globalizzazione è un sistema in cui i capitali e le merci si muovono come vogliono, mentre gli uomini sono legati al territorio. Cosa accade oggi? Succede che è entrata in crisi la risposta capitalistica al più alto ciclo di lotte che ci sia stato nel capitalismo moderno. Questa risposta permette sì di riprendere il comando sul lavoro e di abbassare il salario, diretto e indiretto, ma innesca una tendenza che si scontra col meccanismo di accumulazione capitalistico. La gente che lavora non ha i soldi per comprare le merci che produce. A mio parere il meccanismo finanziario - quello che fa partire la crisi - amplifica la crisi stessa e ne determina gli effetti a catena. Nel 2008, appena scoppiata, era una crisi dall'entità modesta, poi il buco si è allargato a migliaia di miliardi di dollari. L'economia finanziaria ha consentito un trasferimento di risorse dal basso all'alto, ma attraverso meccanismi fragili. A questo punto, o torniamo a porci il problema di un superamento del modello, di un controllo democratico sulla produzione oppure si assiste a una brutale accentuazione del dominio capitalistico incompatibile con tutte le conquiste democratiche del '900. Oggi, più che mai, è vera l'alternativa socialismo o barbarie.
Maurizio Landini
Gli anni 80 sono lo spartiacque. Nello scontro tra due modelli di capitalismo, quello renano e quello anglosassone, ha vinto il secondo. La centralità dell'impresa ha sottratto alla politica ogni margine di autonomia. La globalizzazione ha messo in contrapposizione un miliardo e mezzo di persone senza diritti con 5-6 milioni di persone che qualche diritto l'avevano. Oggi è diventato difficile per qualsiasi sindacato mettere in pratica lo slogan "proletari di tutto il mondo unitevi". Tuttavia sono emerse le contraddizioni di questo modello. La finanza può fare quel che vuole, ma i costi ricadono sulla vita delle persone. Le disuguaglianze sono aumentate vertiginosamente. La condizione perché questo modello economico funzioni è la precarietà e una situazione di bassi diritti e bassi salari. L'attacco alla contrattazione collettiva è la dimostrazione che l'attuale modello economico e sociale non permette una mediazione tra diversi interessi. La questione della democrazia è il punto da cui ripartire. Cosa produci, perché produci, come produci, nell'interesse di chi e con quale impatto ambientale? La politica deve tornare ad avere un ruolo e le persone devono riappropriarsi della possibilità di decidere.
Dino Greco
Persino un miliardario americano come Warren Buffet ha sostenuto la necessità di una patrimoniale e di una tassazione sulle transazioni finanziarie. C'è un tipo di capitalismo intransigente e un altro "moderato". Ambedue, però, tendono alla sottomissione del lavoro in nome della competitività. Salari, diritti, prestazioni, orari diventano variabili dipendenti. Tutto ciò che esiste, dal lavoro alla natura, diventa un combustibile per il processo di accumulazione. Il capitalismo ha dunque una vocazione distruttiva nei confronti dell'umanità in generale, non solo verso singoli pezzi della società?
Paolo Ferrero
Questo capitalismo tende non solo a ridurre il lavoro a merce, ma include la natura nella forma dello sfruttamento ed è potenzialmente distruttivo dell'habitat in cui si riproduce l'umanità. Non solo. In questo contesto la guerra è la pura prosecuzione dell'accumulazione capitalistica. In futuro, oltre ai conflitti per il petrolio, vedremo probabilmente le guerre per l'acqua potabile, per le terre coltivabili, per le materie prime. Il concetto di guerra si è dilatato. Le compagnie petrolifere che hanno i mercenari a guardia dei pozzi in Africa o altrove, stanno facendo guerra di occupazione o no? Questo è un capitalismo distruttivo delle condizioni di vita del pianeta. Quel che si evidenzia dal 2008 a oggi è che questo meccanismo non è in grado di dare una risposta neppure al problema di uno sviluppo in termini capitalistici. L'utopia capitalistica di mercificazione del globo intero non è concretamente possibile per i limiti fisici delle risorse - oltre a non essere auspicabile per la maggioranza della popolazione. Ha ragione Landini quando dice che torna di attualità la discussione sul senso di fondo della società e del modello di produzione.
Fausto Bertinotti
Io starei attento a dire che il capitalismo è impotente. E' brutto, ma ha una grandissima vitalità. La crisi è un'occasione? Sì, ma se a sfruttarla sono le classi dominanti, un problema c'è. Il capitalismo ha una capacità di innovazione che tu, come avversario storico, invece non hai. Questo capitalismo finanziarizzato ha occupato anche le sfere immateriali e ne ha tratto risorse. Non è un avversario fragile. L'incertezza del futuro e la crisi non lo rendono una tigre di carta. Torno alla domanda. Oggi sono all'ordine del giorno la patrimoniale e la Tobin Tax, un tempo slogan solo di aree minoritarie della sinistra radicale e del movimento altermondista. In una condizione in cui le popolazioni devono subire grandissimi sacrifici ci sarebbe una disponibilità di una parte delle classi dirigenti a farsi carico responsabilmente anch'esse di una parte di sacrifici. Come mai, però, queste proposte di buon senso, che hanno il consenso di tutta l'accademia mondiale, non si traducono in scelte politiche da parte dei governi? Perché il sistema, nonostante abbia un nucleo duro fondato sulla cancellazione della soggettività del lavoro e sulla distruzione del welfare, non accetta neanche la variabile riformista borghese per accattivarsi le masse con questi provvedimenti? La risposta la dà Obama. Il presidente degli Usa riconosce ormai il fallimento della politica e l'impotenza di fronte al combinato disposto degli automatismi economici del mercato che diventano scelta politica obbligata. Gli spazi di mediazione vengono negati sistematicamente, lo spiegava Maurizio poco fa. Se il miliardario Buffet non viene preso in considerazione, se tutti gli economisti spiegano che le politiche di austerità producono recessione ma rimangono inascoltati, ciò vuol dire che c'è un impedimento organico e strutturale. L'ostacolo è precisamente la natura di questo capitalismo e del suo farsi politica demolendo tutte le soggettività. E' proprio questo che dà spazio, vigore e interesse alla rivolta. La rivolta è la forma più intelligente che prende atto che tutti gli spazi di mediazione sono stati chiusi e tenta di buttare all'aria il tavolo per riaprirlo.
Dino Greco
L'oppressione del lavoro si unisce al sequestro di sovranità degli stati. Il capitalismo non riconosce altri vincoli che non siano le regole che il capitale definisce per se stesso. Quindi la Costituzione antifascista, il compromesso tra capitale e lavoro che aveva introiettato, diventa un limite inaccettabile?
Maurizio Landini
Se siamo in questa situazione è perché anche le forze della sinistra non hanno assunto fino in fondo, negli ultimi anni, la rappresentanza del lavoro come base su cui ricostruire un altro modello sociale. La crisi come opportunità? Bisogna essere consapevoli della forza del capitalismo, altrimenti è una partita già persa. Certo, il modello di sviluppo dominante è un modello distruttivo, non solo verso il lavoro, ma anche nei confronti dell'intero pianeta. L'alternativa alla crisi non si riduce alla Tobin tax o alla patrimoniale. Non ce la possiamo cavare con una semplice ripresa dei consumi. Bisogna avviare un processo democratico e riaprire il problema di cosa e come si produce, per quali bisogni e con quale sostenibilità ambientale. O c'è una partecipazione dal basso oppure non si riesce a mettere in discussione i nodi che hanno creato la crisi. Riflettiamo sul rapporto tra democrazia e finanza. Come è stato eletto Obama? Chi ha pagato la sua campagna elettorale per la presidenza? La finanza non è decisiva solo perché influisce sulle scelte dei governi, ma anche perché interviene nel costruire le candidature dei governanti. Chi altri se non Della Valle può comprarsi le pagine dei giornali per dire quello che pensa? Lui può farlo, un lavoratore no.
Paolo Ferrero
Vorrei chiedere a Fausto, ma davvero la politica non può far niente? Il quadro che qui emerge è che gli Stati non fanno niente, i sindacati non sono in grado, su base nazionale, di obbligare il capitale alla contrattazione. Viene fuori una situazione di impotenza. La tendenza alla rivolta mi pare un modo per riempire questo vuoto della politica che non riesce più a incidere sul capitale. Ma Obama, quando dice che non può far niente, dice la verità o mente? Io penso che menta. Non è vero che Obama non potesse fare nulla. Non ha fatto nulla in nome della compatibilità politica e culturale del suo mandato. Se sono stati spesi quindicimila miliardi di dollari per salvare le banche private e non è stato messo un soldo per difendere i redditi della gente, questa è stata una decisione della Federal Reserve e del presidente Obama. Gli Stati hanno ceduto potere ai mercati, ma non è vero che gli Stati o le aggregazioni di Stati non possono riprendere potere. I debiti sovrani dei paesi europei, ad esempio, sono sottoposti agli attacchi speculativi per il semplice motivo che la Banca centrale non acquista direttamente i titoli di stato dei paesi membri. In Giappone dove il debito pubblico viaggia intorno al 220 per cento, non c'è nessuna speculazione sullo yen, perché la Banca centrale giapponese compra i titoli. La decisione in virtù della quale la Banca centrale europea che dà i soldi alle banche private all'uno per cento e obbliga invece gli Stati ad andare a finanziarsi sul mercato, è una decisione politica. Un caso unico al mondo. La scelta, una volta compiuta, obbliga gli Stati a comportarsi di conseguenza. Ma ciò non significa che la Bce non potrebbe funzionare in modo diverso. Ecco perché io non credo che Obama dica la verità. Finché stai nel quadro dell'ideologia dominante e delle compatibilità delle relazioni sociali sei impotente, ma sei impotente perché lo hai scelto tu e ti sei legato le mani dietro la schiena. Quello che Marx, nel primo libro del Capitale, demistificava come il feticismo del capitale è appunto la tendenza a presentarsi come potere oggettivo e impersonale contro cui non si potrebbe nulla. Le classi dirigenti ritengono inammissibili persino le operazioni di maquillage, ma non è vero che non è possibile da parte dell'organizzazione democratica della gente riuscire a incidere sui meccanismi di accumulazione. La politica ha la sua forza, solo che oggi non viene esercitata per mancanza di volontà.
Dino Greco
Nessun riformismo borghese o di sinistra è oggi in grado di diventare soggettività politica consistente. C'è una perdita totale di autonomia per cui tutte le posizioni finiscono per diventare varianti di un unico sistema. Il delta delle opzioni politiche è così ristretto da rendere insignificanti le differenze. Maggioranza e opposizione parlamentare sono cooptati all'interno di questo sistema nel quale non esistono spazi di antagonismo reale. Ma davvero non esiste possibilità di risposta?
Fausto Bertinotti
Non ne ha la politica così come oggi si manifesta, nelle forme della rappresentanza in un sistema istituzionale che al momento ha solo l'apparenza della democrazia, essendo stata svuotata delle sue prerogative. Sto parlando delle forze politiche che stanno nell'arena della politica istituzionale, non delle forze dell'opposizione sociale o dei movimenti che stanno fuori da questo quadro, sia pure in una posizione ininfluente. Vengo alla domanda di Paolo. La politica non può nulla? Astrattamente la risposta è ovvia. Certo, la politica potrebbe fare tantissimo. Le alternative esistono, anche rebus sic stantibus. La Bce avrebbe potuto fare un'altra politica, avrebbe fin dall'inizio potuto intraprendere una linea di copertura dei debiti e, persino, una politica espansiva. Però non l'ha fatto. I governi, Grecia in testa, potevano battere la strada del default controllato. Erano tutte alternative possibili, in astratto. Non c'è un impedimento tecnico. Secondo, gli Stati sono stati espropriati del loro potere sulla società? No. Anzi, la loro autorità è persino potenziata, al punto da rendere il luogo delle decisioni impermeabile alle istanze sociali. Un governo senza consenso come è quello di Papandreu, ha scelto una linea di aggressione sistematica allo stato sociale greco. Sono mesi che ha un'opposizione frontale, ha tutto il paese contro, eppure va avanti. Quindi non è un problema di potere.
Paolo Ferrero
Infatti, Fausto, io contestavo solo l'affermazione che Obama non può...
Fausto Bertinotti
Ma invece ha ragione. C'è un sistema che produce un "recinto" che coopta le forze disponibili a governare questa macchina. Quali sono queste forze? In Europa, secondo me, tutte le forze maggioritarie che occupano la scena della rappresentanza politica. Io ero tra quelli che pensavano, appena qualche mese fa, che fosse possibile una dialettica diversa. Ho guardato con interesse alla vicenda dei socialisti francesi. Ma tra il loro programma di luglio e l'andamento del dibattito sulle primarie c'è stato uno slittamento progressivo, fino all'accettazione del dogma del pareggio di bilancio, al fine di legittimarsi come forza di governo. Le forze socialiste che potrebbero candidarsi a vincere in Francia e in Germania sono entrate in questo schema del recinto. Un sistema che mette dentro il meccanismo economico e sociale il rifiuto di qualsiasi cambiamento. In astratto sarebbero possibili altre strade, certo, ma è proprio questo che viene impedito, attraverso una costruzione economica, politica e sociale. Ad agosto è accaduta una cosa incredibile. Le misure che vengono prese dal governo, sono assunte in nome della loro ineluttabilità. La Bce dice che devi prendere quelle misure entro un determinato tempo e che la prova di responsabilità dell'opposizione consiste nell'accettarle. Ed è quel che accade. Si costruisce il recinto. Poi ci metti anche l'accordo del 28 giugno e il cerchio si chiude. In questo recinto non c'è spazio per il riconoscimento delle rivendicazioni che provengono dal lavoro e dalla società. Rompere questo recinto è il modo - l'unico - per far rinascere la politica. Dentro questo recinto la politica, intesa come autonomia delle scelte, non c'è più. Stanno costruendo una zona rossa. Solo se la spezzi, riapri il circuito della politica. Sennò sei morto.
Paolo Ferrero
Ma questo è esattamente il motivo per cui penso che non si possa andare al governo. E' il motivo per cui sostengo la tesi delle due sinistre o, se vuoi, della necessità di costruire una sinistra autonoma dal punto di vista politico e culturale. Non puoi andare al governo con le socialdemocrazie. Ma bisogna fare attenzione a non cadere nello schema del "non è possibile". Sostenere che non c'è nulla da fare significherebbe dare un contributo alla naturalizzazione del neoliberismo.
Fausto Bertinotti
Ma questa tua tesi ricade nell'errore di sopravvalutazione della soggettività politica. Un tempo si sarebbe chiamato un errore di soggettivismo, che fa ritenere possibile, nella sfera dell'autonomia della politica, un'operazione che invece ritengo si possa fare solo nella connessione con i movimenti sociali, con la rivolta appunto.
Paolo Ferrero
Tu attribuisci a me una posizione che io non ho mai espresso. Io penso che il punto sia proprio la connessione tra la costruzione della soggettività politica e culturale, da un lato, e la costruzione sociale, dall'altro...
Dino Greco
C'è un processo di egemonia reale che non abbiamo ancora indagato e che investe anche il sindacato. Siamo all'approdo finale di un percorso passato attraverso la filosofia concertativa, attraverso la sostituzione della contrattazione con un meccanismo di pseudo-negoziazione, il bilateralismo come cogestione del sottogoverno d'impresa, fino alla negazione di un punto di vista autonomo del sindacato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: l'attacco al contratto, al diritto di coalizione, al diritto di voto dei lavoratori, allo stesso diritto di sciopero. C'è un capitolo nell'accordo di Fiat Mirafiori nel quale vengono cancellati tutti gli accordi fatti dal '45 a oggi. La negazione dei lavoratori come soggetto sociale autonomo giunge al suo limite estremo. I lavoratori sono cooptati dentro un sistema di fabbrica autoreferenziale e autoritario. La sensazione, Maurizio, è che dentro la stessa Cgil si confrontino due opzioni non conciliabili, l'una interna a questo sistema di relazioni sociali, che sembra non cogliere il livello di cooptazione nelle gerarchie di potere esistenti, l'altra che prova invece a ostacolarla e a riproporre il tema della soggettivita operaia. Come si esce da questo autentico corto circuito fra la Cgil e la Fiom?
Maurizio Landini
Prima un'osservazione sulla discussione tra Fausto e Paolo. Io vedo una domanda di partecipazione e di cambiamento da parte delle persone, alle quali devi dare una risposta. Sennò il rischio è che vadano da un'altra parte. La gente non ce la fa più. La situazione sociale è drammatica. Mi ha colpito - al di là del giudizio che se ne può dare - il numero di firme raccolto in così breve tempo per il referendum sulla legge elettorale. La fiducia nello strumento del referendum dà la dimensione della sfiducia nei confronti della politica e dell'attuale parlamento. Le persone non seguono più le indicazioni dei partiti. Ma allora non c'è niente da fare, si chiedeva Paolo? Sarò forse troppo pragmatico, ma perché non dovrei fare delle proposte? Se un giorno dovessimo arrivare a votare io spero che ci saranno delle forze politiche che si pongano il problema della rappresentanza del lavoro. Non chiedo di fare programmi di 250 pagine, mi accontenterei che ci fossero cinque cose e che venissero fatte: la lotta alla precarietà, ad esempio, o la legge sulla rappresentanza. Dei punti che dessero il senso che la resistenza messa in campo non è semplicemente finalizzata alla conservazione delle cose esistenti, bensì alla trasformazione. Altrimenti, il rischio è che la svolta non sarà a sinistra, ma dall'altra parte, verso destra e verso forme di autoritarismo. Non voglio eludere la domanda di Dino e vengo alla questione del rapporto tra Fiom e Cgil. Le decisioni della Fiat e di Marchionne rendono ancora più evidenti i dissidi interni. La Fiom - e il sottoscritto - non ha condiviso l'accordo del 28 giugno, né il famoso documento congiunto del 4 agosto di tutte le forze sociali che conteneva le liberalizzazioni e il pareggio di bilancio, né infine che dopo la modifica dell'articolo 8 fosse necessario confermare l'accordo del 28 giugno. Io penso che quell'accordo non ha affrontato due questioni di fondo. La democrazia, innanzitutto. Come fai decidere i lavoratori dal basso quando esistono posizioni sindacali diverse? Questa è una novità anche in casa della Cgil. Bisogna assumere la democrazia come diritto dei lavoratori, non come strumento che tu eventualmente concedi loro. Secondo, se non includi nel contratto nazionale anche le forme di lavoro oggi escluse, cioè i lavori precari, e invece demandi tutto alla contrattazione aziendale e alla possibilità di derogare al contratto nazionale, in realtà stai aprendo a un altro modello sindacale. Queste sono le due critiche. La Fiom ha definito nei giorni scorsi una piattaforma. Vogliamo riconquistare il contratto. In questo paese il contratto nazionale ormai non c'è più. Riconquistarlo significa renderlo non derogabile e soprattutto allargarne le competenze, al fine di tutelare tutte le forme di lavoro esistenti. Inoltre, poniamo il problema della democrazia e del diritto di scelta dei lavoratori. Ora, se questa piattaforma, con questi contenuti - contratto nazionale, ricomposizione di un fronte di tutti i lavoratori, regole democratiche - ha anche il consenso della Cgil, io lo acquisisco come un fatto positivo. Fermo restando le diversità strategiche che rimangono. Infine, sulla vicenda della Fiat dovremmo compiere un passaggio. Primo, come si cancella l'articolo 8? La Fiat non solo vuole fare come le pare, ma gli accordi che ha imposto hanno un carattere costitutivo di relazioni sindacali diverse. Lì dentro esisti se la Fiat decide che puoi esistere, altrimenti sei fuori. La gravità dell'articolo 8 consiste nel rendere possibile a qualsiasi altra impresa italiana di seguire lo stesso modello di relazioni sindacali intrapreso dalla Fiat. Oggi la battaglia per cancellare l'articolo 8, non escluso lo strumento del referendum, diventa una battaglia decisiva. Fino a quando c'è una legge del genere, qualsiasi contratto nazionale è sotto ricatto. C'è poi un altro punto che le forze politiche dovrebbero assumere. Oggi non esiste più l'unità d'azione tra i sindacati. Richiamarsi all'unità è uno slogan vuoto che non corrisponde più a realtà. Quando non si è d'accordo, come si fa? Chi decide? Una legge sulla rappresentanza e sul diritto di voto dei lavoratori dovrebbe essere, a mio parere, un punto discriminante di un nuovo governo. Ma questi nodi non sono sciolti neppure nella Cgil. L'accelerazione di Marchionne nell'ultimo anno richiederebbe un adeguamento della strategia. Lo dico avendo sostenuto posizioni congressuali che non sono divenute maggioranza. La strategia della Fiat non riguarda solo le centoventi ore di straordinario e i dieci minuti di pausa. Quel modello significa che non c'è più libertà sindacale. Gli iscritti alla Fiom non avranno più diritto di esistere. La Fiom non potrà più incassare i contributi sindacali degli iscritti. Non ci sarà più la possibilità di votare e decidere. E, in più, si è aperta una strada di uscita della Fiat dall'Italia. Mi chiedo come questi punti possano tornare ad avere anche una dimensione politica generale nel momento in cui la sinistra dovrà riappropriarsi di una rappresentanza del lavoro.
Dino Greco
Fausto sostiene che far saltare il banco è una prova di "lucido realismo". Se regge il recinto muore definitivamente la sinistra politica. Chi sta dentro è dentro, chi sta fuori prova a immaginare un'altra storia. C'è un'evidente risonanza con le tesi congressuali del Prc. Non si tratta di correggere qualche distorsione del modello di sviluppo ma di modificarlo alla radice. Cosa c'è oggi fuori dal recinto? Ci sono le risorse necessarie per la rinascita di una politica autonoma in grado di portare una critica radicale al sistema? L'uscita di scena della sinistra - dice ancora Fausto - è riassunta nella sua incapacità di spezzare il recinto fino al punto di non sapere neppure vederlo. Non è che non si possano fare delle cose, ma se si è completamente inscritti in un sistema politico ed economico coattivo non si riesce neppure più a vedere oltre. Cosa vuol dire ricostruire la sinistra? Come ci si sottrae al vincolo esterno? Non è necessario costruire un polo della sinistra autonomo culturalmente e politicamente, in interlocuzione con i movimenti?
Fausto Bertinotti
Concordo con la linea di Maurizio. Le questioni da lui poste hanno una loro specificità, riguardano il lavoro, l'involuzione autoritaria dell'impresa, il riconoscimento della contrattazione col sindacato e la democrazia. In realtà, però, è una questione generale che non investe solo il sindacato. Come ce la caviamo di fronte al fatto epocale di un pluralismo sindacale che non è fatto solo di qualche nuances, ma di strategie diverse? I modelli sindacali in campo sono due, la Fiom da un lato e la Cisl dall'altro, e non si possono ricongiungere nell'appello all'unità sindacale. La risposta di Maurizio, che io condivido, è una rifondazione della democrazia che consenta, nel pluralismo delle opzioni strategiche diverse dei sindacati, di costruire l'azione unitaria dei lavoratori e mettere in discussione questo schema di fabbrica autoritaria. Mi piacerebbe che questo fosse un modello generale per tutti i movimenti. Solo la democrazia può rompere il recinto, altrimenti ci sarà sempre qualcuno che sta dentro e che fa gli accordi separati, e qualcuno che sta fuori. Questo recinto, a fortiori, pesa sulla politica e costruisce un dentro/fuori, decidendo chi è rappresentato nelle istituzioni e chi no. Perché non sono più d'accordo con la tesi che ho sostenuto per anni, la tesi delle due sinistre? Perché il recinto ridisegnerebbe l'una e l'altra. Dentro l'una, fuori l'altra, entrambe impotenti rispetto a questo meccanismo vincente. Bisogna riaprire totalmente i giochi anche nella sinistra, non accettando più nessuna delle ripartizioni classiche e rimescolando le carte. Io penso alla costruzione di una sola sinistra in cui ci possano stare pluralisticamente tutti. La rottura muove da ciò che ora sta fuori del recinto: i movimenti, il conflitto. Il movimento attuale non è uguale a quelli che l'hanno preceduto. Il fenomeno degli indignados caratterizza le attuali rivolte nel nord dell'Africa, in Tunisia e in Egitto, in Grecia, a Madrid, a Tottenham, a Wall Street, nel Cile e in Israele - dove per la prima volta c'è un movimento sociale e giovanile che mette in discussione le politiche di quello Stato. L'indignazione è una risorsa, io la chiamo "aria di rivolta", non si esprime sempre nelle stesse forme, è un'aria appunto. Maurizio parlava del referendum come di uno strumento che sta nell'aria e che - anche quando assume un contenuto sbagliato, come a mio parere il ritorno al Mattarellum - è in grado di promuovere grandi processi popolari, a cui bisogna guardare con rispetto. Mettere in moto un referendum contro l'articolo 8 potrebbe spezzare il recinto. Su un nodo così cruciale, lo strumento referendario della democrazia diretta evita il riprodursi del dentro/fuori. In che modo questa lezione può essere assunta? Con la produzione di "costituenti", che è quello che sta già accadendo. Se ne stanno formando su mille terreni. Io sono particolarmente affezionato all'esperienza di Uniti contro la crisi perché opera sulla connessione di due tipi di lavoratrici e lavoratori che non si erano incontrati mai nel ciclo precedente: i lavoratori dipendenti e prevalentemente industriali, da un lato, e i lavoratori autonomi delle ultime generazioni, dall'altro. L'incontro dà luogo a un'idea positiva di rivendicazione di salario sociale, senza cui non si va da nessuna parte nella ricomposizione. Ma questo vale anche nel rapporto tra precari e lavoratori stabili. Queste costituenti possono diventare la soggettività politica da alimentare come elemento di rottura del recinto? Io penso di sì. Occorre lavorare alla politicizzazione di queste costituenti e alla loro messa in relazione, senza primazie e senza egemonismi. Se ci dovesse poi essere uno sbocco politico secondo me sarà quello di una grande sinistra europea. Siamo più vicini alla fine dell'800 che al '900, quando il movimento operaio si è dato le sue forme di organizzazione con le leghe, le società di mutuo soccorso, le camere del lavoro. Democrazia e autogoverno penso che siano le due chiavi di ricostruzione dell'alternativa. Ma si possono avere altri schemi politici, non è questo il punto. La questione è se queste "costituenti" possono diventare il campo di una nuova politica.
Paolo Ferrero
Sono d'accordo con la tesi dei due modelli di sindacato. Non si può chiedere a Landini, in nome dell'unità, di abolire il suo per accettare lo schema degli enti bilaterali e della concertazione. Chiederei che lo stesso rispetto avvenisse nella politica. Nella sinistra ci sono due indirizzi e non possono essere ridotti ad uno. C'è chi aderisce al dogma del pareggio di bilancio e chi vuol rovesciare le politiche economiche. Il che non vuol dire che non vi sia un popolo della sinistra, in gran parte non incasellato nell'una o nell'altra. Ma se non si nomina il fatto che ci sono due sinistre, si finisce col decidere che ce n'è una sola, quella che assume il pareggio di bilancio. La via d'uscita? Il primo livello è la costruzione di un movimento. La manifestazione del 15 ottobre è un passo importante. Il no a Berlusconi si tiene assieme al no alle politiche della Bce. Il referendum sull'articolo 8 è un obiettivo da mettere in campo. Oggi fuori dal recinto c'è la gran parte della popolazione, che è indignata perché, per la prima volta dal dopoguerra, le prospettive di vita futura sono peggiori di quelle presenti. Dal divario tra la domanda di diritti e salari e l'aspettativa di un futuro nero nasce la tendenza all'indignazione e alla rivolta delle giovani generazioni. Per questo io penso che bisogna costruire un movimento di massa antiliberista come fenomeno di senso comune, "metapolitico", potenzialmente maggioritario nella società. Il secondo punto è la costruzione di costituenti capaci di interagire col quadro politico, ma non sovradeterminate da questo. Rifondazione ha proposto una costituente dei beni comuni e del lavoro. Bisognerebbe unire le soggettività che animano i movimenti, i sindacati, le associazioni, i comitati, in una forma che non sia episodica. Una costituente sociale il cui tratto fondamentale sia l'indipendenza dal quadro politico, altrimenti si dissolverebbe. Non dobbiamo fare gli errori commessi da noi di Rifondazione comunista dopo il movimento di Genova. Bisogna garantire che la costruzione del movimento e delle sue istituzioni non venga piegata. Non c'è nessuna forma politica, al momento, che esprima in quanto tale l'elemento dell'alternativa. Su questo sono d'accordo con Fausto. Terzo punto, bisogna costruire una sinistra d'alternativa che buchi la separatezza del recinto e contesti l'immaginario dominante. Noi avanziamo l'idea di primarie sul programma. Siccome ci sono due poli nel sistema politico per via della legge elettorale, siccome chi vuol cacciare Berlusconi deve votare dall'altra parte, allora che si facciano primarie sulla guerra, sulla legge 30, sull'articolo 8 per decidere cosa dovranno fare quelli che verranno eletti al posto di Berlusconi. Il tema della democrazia - ha ragione Landini - va usato anche per rompere la posizione di rendita che chi sta dentro il recinto ha nei confronti di chi sta fuori. Bastano questi punti - movimento di massa antiliberista, costruzione di costituenti, costruzione di una sinistra autonoma - a determinare l'alternativa? No, non ci sono le condizioni. Ma è sufficiente a fare chiarezza. Ma sulla costruzione di una sinistra di alternativa, autonoma e chiaramente separata dall'altra sinistra, credo che Fausto non sia d'accordo. Lui tende a passare dall'autonomia della politica all'autonomia del sociale. Io invece penso che bisogna evitare entrambi gli schemi. Nessuna delle forme in cui oggi è organizzata la politica, è in quanto tale esaustiva. Il problema è proprio la connessione.
Dino Greco
Ti convince Maurizio?
Maurizio Landini
A me il problema di cosa viene dopo Berlusconi interessa. La lettera della Bce, il manifesto della Confindustria, la scelta della Fiat appartengono a una stessa visione. Mai un governo come questo ha rappresentato così organicamente la Confindustria e l'impresa. Il problema che mi pongo adesso è come si possa costruire un'alternativa politica in cui torni invece il problema della rappresentanza del lavoro. Per questo penso che si debba andare oltre le appartenenze. Se ognuno rimane nei suoi piccoli recinti non andiamo da nessuna parte. Io, per esempio, ho sempre pensato che il reddito di cittadinanza fosse una sciocchezza. Non capivo perché bisognasse pagare uno che non lavora. Ma i tanti confronti con i precari e gli studenti mi hanno spinto a cambiare idea. Bisogna anche ascoltare e provare a riunificare. Sarà un vizio sindacale, ma se io non riunifico tutto quello che il padrone divide, mi frega sempre. Mi limito a osservare che la politica dovrebbe unire...
Paolo Ferrero
Scusami Landini, ma questo significa provare a costruire una sinistra o no?
Maurizio Landini
Sì, una, ma non tante.
Paolo Ferrero
Una sola sinistra che sia dalla parte del lavoro? Io sono d'accordo.
Maurizio Landini
Gli accordi si possono fare o meno, ma tendenzialmente io sono portato a cercarlo l'accordo, non a dire che non lo faccio. Se mando a casa Berlusconi, voglio anche un governo che faccia cose diverse. Non mi accontento di rimanerne fuori. Lo dico per aprire una discussione sia con chi dice che bisogna andare al governo a prescindere, sia con chi dice che a prescindere ne resta fuori. Sarebbe meglio provare a costruire qualcosa invece che assumere posizioni precostituite. La gente che noi rappresentiamo, se non ha risposte, si allontana dalla politica. La gente partecipa ai referendum ma nella politica come è oggi non c'entrerà mai. Ecco perché bisogna avere una disponibilità e un'apertura, senza punti di vista precostituiti.
Paolo Ferrero
D'accordo, ma il punto è se le politiche che fai, rompono il recinto o lo consolidano.
Fausto Bertinotti
Su questo sono d'accordo anch'io.
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