La clamorosa e per molti inaspettata sconfitta di Russia Unita, il partito di Putin, alle elezioni politiche della Federazione Russa, è una dato politico evidente, netto, che non può essere camuffato nonostante i numerosi brogli che hanno comunque consentito al padre padrone della Russia di riconquistare la maggioranza della Duma. Ironia della storia, è Putin che cosi come fu per Eltzin, che incarna la continuità con i tratti autoritari dell’ex sistema sovietico, mentre a difendere e a manifestare per la democrazia sono i comunisti russi, il Partito guidato da Ghennadi Zyuganov, l’unica forza politica popolare e di massa che in questi due decenni ha saputo resistere alle svolte autoritarie del regime e a presentarsi come alternativa possibile allo strapotere dei nuovi oligarchi di Mosca.
In pochi ricordano che l’ascesa al potere di Eltzin prima e del suo delfino Putin poi sia stata aperta dalle cannonate contro il Parlamento russo. Zjuganov ha usato le seguenti parole per descrivere quanto successo: «Per quanto riguarda le elezioni stesse, devo dire che sono state senza precedenti per la quantità di brogli, per le pressioni esercitate e per la perfetta messa a punto delle falsificazioni, che hanno fatto impallidire tutti i successi di Eltsin con i suoi assistenti e maghi della pirotecnica». Secondo il PCFR infatti, i voti presi sarebbero oltre il 30 e non il 20 come assegnato dalla commissione elettorali.
Il potere di Putin si è consolidato nell’ultimo decennio grazie a un misto di populismo, di nazionalismo e di benefici dovuti più che a capacità di governo dell’economia, dall’aumento delle entrate statali dovuto all’aumento dei prezzi delle materie prime, come gas e idrocarburi, che Mosca ha per un periodo difeso da ulteriori privatizzazioni e che ha utilizzato per riassestare la disastrata situazione economica ereditata dalla shock terapy con cui Eltzin aveva svenduto il paese. Una terapia economica criminale, quella dei liberisti fondamentalisti, che secondo uno studio della rivista scientifica Lancet , ha prodotto nell’ex Urss circa un milione di morti.
Ma il tutto mantenendo una politica economica liberista, per cui la Russia di Putin e Mednenev ha mantenuto i tratti di una società profondamente diseguale. Pochi grandi ricchi e tantissimi poveri. Le disuguaglianze sociali rimangono enormi, così come il collasso dello stato sociale sovietico ha lasciato milioni di persone prive di quelli che erano diritti sociali garantiti dal sistema.
La situazione si è aggravata nell’ultimo bienno con la crisi economica, che ha visto il prodotto interno della Russia crollare nel 2009, e crescere fra la popolazione il malcontento così come le preoccupazioni per il futuro, e per le quali non è bastata la retorica nazionalista ad evitare il crollo elettorale. Un crollo che ha come prima conseguenza la impossibilità per Putin di poter cambiare la Costituzione, non avendo la maggioranza qualificata necessaria per farlo da solo.
La vittoria dei comunisti non nasce inaspettata. Non può essere nemmeno derubricata, come fanno molti superficiali analisti di casa nostra, come semplice sentimento nostalgico dei tempi che furono. Anche in Russia, come nel resto d’Europa, ritorna con forza la questione e la domanda di giustizia sociale.
Sono tantissimi infatti i voti di giovani e giovanissimi al Partito comunista russo, di ragazzi e ragazze che non hanno vissuto nell’Unione Sovietica. Secondo il PCFR sette giovani su dieci hanno votato per i comunisti. Ora la partita si sposta a Marzo, alle prossime elezioni presidenziali.
Quella che sembrava una passeggiata per Putin, si presenta invece ora come una sfida difficile. Il nervosismo del potere è evidente nella reazione poliziesca di queste ore. E a sfidare Putin e il suo blocco di potere ci sarà Zjuganov , ci saranno , ancora una volta, i comunisti.
Fabio Amato - Liberazione
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